Sono sempre più numerose le prove scientifiche di un profondo legame tra cervello e intestino, molti studi evidenziano l’esistenza di influenze reciproche tra questi due organi (Borelli 2017). Una recente ricerca ha dimostrato un collegamento tra microbioma intestinale e Disturbo Depressivo Maggiore (MDD o disturbo unipolare) ed ha aperto così la strada all’utilizzo dell’analisi del microbioma intestinale per la diagnosi del MDD.L’intestino è anche detto secondo cervello ed è caratterizzato dalla presenza di una fitta rete di neuroni organizzati in due plessi che costituiscono il Sistema Enterico (Furness J.B., Callaghan B.P., Rivera L.R. et al. 2014). Altra peculiarità anatomo-funzionale di quest’organo è la presenza del microbioma. Con questo termine viene indicato l’insieme di microrganismi e di tutti i loro geni che convivono in simbiosi con le cellule umane. La colonizzazione microbica del tratto gastrointestinale ha inizio con la nascita e continua con l’avanzare dell’età fino a formare una microflora caratteristica di ciascun individuo. (Cillari E. 2017)
A lungo si è creduto che l’unica funzione del Sistema Enterico fosse quella di attualizzare gli input provenienti dal Sistema Nervoso Centrale. Attualmente si ritiene che questo sistema e il microbioma intestinale possano provocare cambiamenti comportamentali e persino interferire con lo sviluppo cerebrale (Neufeld K-A & Foster JA 2009).
Inoltre studi in vitro suggeriscono la possibilità di un’ influenza diretta del Sistema Nervoso Centrale sulla microflora batterica intestinale. Le ricerche evidenziano che condizioni di stress, con conseguente esposizione di alcune specie batteriche, quali Yersina enterocolica ed Escherichia Coli, alla noradrenalina, può determinare una rapida espansione di queste due popolazioni batteriche (Bailey M., Dowd S., D Galley J et al. 2011). Questo, a sua volta, comporta implicazioni nelle risposte immunitarie dell’organismo e può determinare la comparsa di stati infiammatori presenti in diversi quadri psicopatologici (Chinen T, Rudensky AY. 2012, Neufeld K-A & Foster JA 2009).
Logan e Katzman in una ricerca del 2004 sono giunti alla conclusione che i probiotici possono essere una terapia adiuvante nel trattamento del Disturbo Depressivo Maggiore. I due ricercatori hanno ipotizzato che i batteri del tratto gastrointestinale possono comunicare con il Sistema Nervoso Centrale.Un recente studio apparso su Science Advances e condotto da un team di ricercatori provenienti da istituti di ricerca cinesi e statunitensi ha provato l’esistenza del collegamento tra microbioma intestinale e Disturbo Depressivo Maggiore (Yang J., Zheng P., Li Y. Et al. 2020)
Il disturbo unipolare è una patologia caratterizzata dell’abbassamento del tono dell’umore che si manifesta con una profonda tristezza ed è un disturbo mentale debilitante e piuttosto comune. Attualmente esistono varie ipotesi che tentano di spiegarne i meccanismi fisiopatologici ma, ad oggi, non è stato individuato alcun biomarcatore specifico per questa patologia (Cuomo A., Fagiolini A. 2019).
Il gruppo di ricerca ha analizzato i campioni fecali prelevati da 156 persone con Disturbo Depressivo Maggiore e da 155 individui sani. Utilizzando metodi metagenomici e metabolomici sono stati identificati 3 batteriofagi, 47 specie batteriche e 50 metaboliti fecali che mostrano notevoli differenze di concentrazione tra i pazienti affetti da MDD e i controlli. Nei campioni delle persone con Disturbo Depressivo Maggiore i ricercatori hanno rilevato livelli più elevati di batteri del genere Bacteroides e livelli meno elevati di batteri delle specie Eubacterium e Blautia. Queste differenze, secondo gli autori dello studio, rappresentano il collegamento tra il microbioma intestinale e il Disturbo Depressivo Maggiore. Inoltre livelli più alti di Bacteroides spiegherebbero anche perché molti pazienti con disturbo depressivo unipolare mostrano livelli più alti di citochine e dunque di infiammazioni (Chinen T, Rudensky AY 2017).
Questa ricerca apre la strada all’utilizzo dell’analisi del microbioma intestinale come biomarcatore del Disturbo Depressivo Maggiore, ciò permetterebbe di affiancare alle interviste cliniche questo nuovo criterio diagnostico.