La validità dell’ipotesi di automedicazione di Khantzian nelle new addictions

 

 

 

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ID Articolo: 174312 – Pubblicato il: 06 maggio 2020 👤di Lucilla Castrucci

L’Organizzazione Mondiale della Sanità descrive il concetto di dipendenza patologica come quella condizione psichica, e talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i sui effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.

Oggi il termine dipendenza patologica viene utilizzato anche per descrivere un gruppo di disturbi caratterizzati, non dall’abuso di sostanze, ma da una ricerca spasmodica di un comportamento o di un oggetto, senza il quale la vita della persona diviene problematica o insostenibile. Si fa riferimento alle così dette new addictions, legate alle nuove tecnologie, allo shopping compulsivo, alla dipendenza da gioco d’azzardo, o a quella da lavoro, o da cibo, o ancora a quella affettiva. Le tossicodipendenze e le addictions, colpiscono un gran numero di persone nel mondo e sono accomunate da diversi aspetti:

  • dal fatto che, chi ne è affetto, è costretto a reiterare lo stesso comportamento, in modo compulsivo, anche se questo è inadeguato e disfunzionale (craving);
  • sono tutte espressioni di una situazione di disagio;
  • le ricerche nel campo delle neuroscienze dimostrano come in tutte queste entità patologiche, ciascuna con una sua modalità peculiare di presentazione, siano presenti alterazioni dei meccanismi celebrali che controllano la gratificazione e la motivazione.

E’ allora lecito pensare che tossicodipendenze ed addictions abbiano un’eziologia comune, che siano determinate dalla medesima causa.

L’ipotesi dell’automedicamento di Edward Khantztian

Una delle ipotesi eziologiche per spiegare l’insorgenza delle dipendenze da sostanze è quella formulata, negli anni Settanta del secolo scorso, da Edward Khantzian e David F. Ducan e nota come ipotesi dell’automedicazione. Inizialmente Khantzian partì dall’idea che i tossicodipendenti fossero individui caratterizzati da un deficit nelle funzioni dell’Io e che la ricerca della droga rappresentasse un tentativo di potenziarne i meccanismi di difesa. Successivamente, considerando la casistica dei soggetti da lui trattati, si pose la domanda se la scelta della sostanza psicoattiva fosse casuale. Giunse alla conclusione che il tipo di droga era selezionato in modo tale che le proprietà farmacologiche della sostanza fossero idonee ad alleviare gli stati affettivi disturbanti del soggetto. Khantzian faceva particolarmente riferimento all’eroina ed alla cocaina.

La teoria dell’automedicamento e gli studi sperimentali

Esistono a supporto della teoria dell’automedicamento alcuni studi sperimentali, tra questi particolarmente interessante è quello condotto nel 1977 da Wusmer L. e Pecksnifr Mr. Si tratta di una ricerca in cui un gruppo di eroinomani è stato trattato con doxepina e paragonato ad un gruppo di controllo trattato con placebo. La doxepina ha provocato una significativa riduzione del craving. Gli autori hanno concluso che gli eroinomani fossero affetti da sindrome ansiosodepressiva che andava in remissione per effetto del trattamento con il farmaco antidepressivo. Come riportato, anche, da Rounsaville et al (1982), il disturbo da abuso di sostanze risponde ad appropriati trattamenti con psicofarmaci contro sindromi target come la fobia e la depressione.

Vi sono, infine, evidenze cliniche, a sostegno dell’ipotesi della self-medication, che riguardano gli individui dipendenti da oppiacei e farmaci sedativo-ipnotici.

Tutti questi dati confermano l’ipotesi di Khantzian secondo la quale i tossicodipendenti depressi usano gli oppiacei nel tentativo di curare uno stato di malessere psichico intollerabile.

Per quel che riguarda le new addictions è stato ipotizzato che, anche per queste dipendenze, possa essere valida la teoria di Khantzian.

Diversi studi suggeriscono che i meccanismi celebrali alla base dell’obesità siano simili a quelli della tossicodipendenza e di conseguenza l’obesità sia da considerare come il risultato di una dipendenza da cibo. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Granada, assieme ai ricercatori della Monash University australiana, hanno condotto uno studio per verificare quest’ipotesi. Sono state ricercate le differenze tra le connessioni funzionali nei sistemi di ricompensa nel cervello degli obesi e dei normopeso. La ricerca si è avvalsa di scansioni funzionali fatte con la risonanza magnetica che hanno mostrato che il desiderio di cibo è associato con l’attivazione di connessioni neuronali diverse, a seconda che la persona sia di peso normale o in sovrappeso. Una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori dell’University of Alabama at Birmingham (USA) e pubblicata sull’American Journal of Public Health ha individuato una correlazione tra depressione e obesità. I ricercatori hanno utilizzato i dati provenienti da uno studio, molto vasto, denominato CARDIA (Coronary Artery Risk Development in Young Adults), che ha monitorato  per 15 anni, un gruppo di giovani adulti, uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. E’ stato dimostrato che coloro i quali manifestavano tendenze depressive (livelli misurati a 10, 15 e 20 anni), aumentavano di peso, accrescendo la propria circonferenza addominale più velocemente degli altri; mentre quelli che risultavano già essere in sovrappeso non manifestavano peggioramenti sull’equilibrio psichico.

Nel gioco d’azzardo patologico uno studio condotto da Gianni Savron et. al e pubblicato nel 2001 sulla Rivista di Psichiatria ha dimostrato come i giocatori patologici presentano, rispetto ai controlli, una maggiore sensibilità all’ansia e maggiore distress . Shinohara et al.(1999) hanno osservato un incremento di beta-endorfine, adrenalina e dopamina all’inizio del gioco e durante la partita.

I dati degli studi epidemiologici sulla dipendenza da internet mettono in evidenza come i fattori di rischio, nei giovani, siano rappresentati da problemi psicologici, psichiatrici o familiari preesistenti all’insorgenza del  disturbo. Marazziti et al. (2015) segnalano come tra i disturbi più frequenti vi siano disturbi dell’umore e ansia. Per gli adolescenti elementi di particolare vulnerabilità sono la bassa autostima che, diverse ricerche mettono in correlazione con una maggiore probabilità di sviluppare depressione, oltre all’identità insicura e alle competenze sociali deboli. Infine negli adulti, sono spesso presenti problemi di solitudine, insoddisfazione nel matrimonio, stress collegato al lavoro, depressione, insicurezza dovuta all’aspetto fisico ed ansia.

Esistono diversi motivi per poter pensare che lo shopping compulsivo possa essere una strategia per alleviare uno stato depressivo sottostante. Gli studi di Lejoyeux et al (1996) evidenziano che sentimenti negativi di tristezza, di solitudine, di frustrazione o di rabbia generano un aumento nella tendenza a fare acquisti. Lo shopping è invece associato ad emozioni piacevoli come felicità e senso di potere e competenza  (Alonso-Fernandez, 1999). Faber e O’Guinn (1992) hanno condotto una ricerca che ha evidenziato come gli acquirenti compulsivi hanno punteggi di autostima molto più bassi rispetto ai normali consumatori. Per questi soggetti patologici fare acquisti potrebbe essere un modo per innalzare la propria autostima e combattere frustrazione ed umore depresso. A conferma dell’ipotesi di un legame tra depressione e shopping compulsivo, ci sono i risultati dello studio di McElroy et al. (1994) in cui nove soggetti su tredici trattati con antidepressivi mostrano una completa o parziale remissione dei sintomi caratteristici dello shopping compulsivo.

I dati degli studi scientifici confermano come tossicodipendenze e addictions abbiamo molte caratteristiche comuni e come sia plausibile pensare che, anche per le dipendenze senza uso di sostanze, esista un legame tra comportamento compulsivo e sintomi di depressione ed ansia. Queste evidenze rendono la teoria dell’automedicamento molto probabile e applicabile ad ogni tipo di dipendenza.

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    Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2020/05/automedicazione-new-addictions/

 

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