ARTRITE REUMATOIDE, RISCHIO CARDIOVASCOLARE E TRATTAMENTO
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica a patogenesi autoimmunitaria e a carattere sistemico che colpisce le articolazioni. Ha una prevalenza compresa tra lo 0.3 e l’1%. Se non trattata tempestivamente, l’infiammazione porta ad una progressiva perdita della funzione articolare. Si possono avere anche manifestazioni extra-articolari come vasculite, interstiziopatia polmonare, osteoporosi, cheratocongiuntiviti ed altre.
(manifestazioni extra-rticolari dell’artrite reumatoide, F. Fottia)
Artrite reumatoide ed aumentato rischio cardiovascolare
I pazienti con artrite reumatoide hanno un aumentato rischio cardiovascolare di più del 50% rispetto alla popolazione generale, questo nonostante presentino livelli ematici di colesterolo più bassi , soprattutto se non sottoposti a trattamento o comunque con malattia attiva. Invece se sottoposti a trattamento con un adeguato controllo dell’attività di malattia, possono presentare spesso livelli di colesterolo più alti, ma un rischio cardiovascolare ridotto. Per questo motivo si parla di paradosso lipidico dell’artrite reumatoide. I meccanismi di questo paradosso non sono del tutto conosciuti. Sembrerebbe, almeno dagli studi in vitro, che gli stimoli infiammatori abbiano un ruolo determinante nella modificazione delle particelle di colesterolo HDL. E’ stato ipotizzato un ruolo centrale delle citochine infiammatorie TNF-alfa, IL-6 e IL-1, che permetterebbero ai macrofagi di assorbire colesterolo, favorendo così la riduzione della colesterolemia . L’aumento del rischio cardiovascolare nell’ artrite reumatoide, dipende non solo da un’aumento della prevalenza dei fattori di rischio tradizionali, ma anche dagli effetti correlati allo stato infiammatorio caratteristico della malattia che favorisce anche i processi aterosclerotici che, portano poi, all’occlusione dei vasi generando la malattia ischemica cardiaca.
L’importanza del trattamento nell’artrite reumatoide
Il trattamento dell’artrite reumatoide, è importante anche al fine di ridurre il rischio cardiovascolare. Nonostante i continui progressi , circa il 30% dei pazienti non ha una risposta adeguata al trattamento farmacologico. Per loro, ma anche per parte dei pazienti in cui la malattia ha una bassa attività, i risultati della terapia non sono soddisfacenti rispetto alla qualità della vita.
L’approccio tradizionale del trattamento farmacologico per l’artrite reumatoide è basato sull’impiego dei vari presidi terapeutici secondo una strategia definita “a gradini”. Questa prevede all’inizio l’impiego di farmaci analgesici ed antinfiammatori ai quali si può far seguire l’uso degli steroidi per arrivare al gradino più alto della piramide con l’impiego dei farmaci cosiddetti “modificanti il decorso della malattia” ( DMARDs). Negli ultimi anni, alcuni studi hanno dimostrato come un approccio terapeutico più aggressivo fin dall’inizio, possa apportare notevoli vantaggi nel controllare l’evoluzione della malattia. Per questo attualmente si segue una nuova strategia detta “step down”, che ha invertito l’ordine dei gradini e prevede un trattamento con DMARDs più precocemente e, se necessario, con l’associazione di più farmaci, passando ad una terapia più semplice solo dopo aver ottenuto un buon controllo clinico. Ulteriori prospettive terapeutiche si sono inoltre aperte con l’avvento dei nuovi farmaci “biologici” diretti contro il TNF alfa, uno dei fattori implicati nei processi infiammatori.
Spesso esiste una discrepanza tra gli obbiettivi terapeutici del medico, che cerca di ridurre l’nfiammazione e prevenire il danno organico per avere una remissione della malattia, e le aspettative del paziente che cerca il controllo del dolore ed il miglioramento dell’affaticamento oltre al mantenimento della funzionalità articolare e della qualità della vita.
L’impatto dell’artrite reumatoide sull’individuo, è correlato non solo a parametri come l’ infiammazione e il danno articolare, ma anche ad altri aspetti, compresi quelli psicologici e sociali. Circa un terzo dei pazienti ritiene che il reumatologo non presti adeguata attenzione a quanto il soggetto riferisce, tenendo in poca considerazione la sfera soggettiva e personale. Questo si riflette negativamente sulla terapia in termini di aderenza da parte del paziente.
I pazienti con artrite reumatoide hanno alcuni bisogni insoddisfatti riguardanti:
- la riduzione del dolore
- la riduzione dell’affaticamento che deriva dai processi della malattia, ma anche da aspetti cognitivi-comportamentali del soggetto
- il miglioramento della funzionalità fisica e mentale.
Questi aspetti possono comprometterne altri come la funzione sociale, quella sessuale, l’abilità al lavoro ed il benessere in generale .
La terapia farmacologica può arrestare l’evoluzione della malattia, ma le alterazioni che la malattia ha provocato non può sanarle, per questo motivo il paziente con artrite reumatoide ha una ridotta abilità. E’ fondamentale che la terapia farmacologica sia precoce ed inserita in un contesto multidisciplinare, nel quale non può mancare la riabilitazione che dovrebbe essere anch’essa precoce. Il programma riabilitativo deve individuare i bisogni, le preferenze, le menomazioni e le abilità dei pazienti e deve tener conto dei limiti imposti dalle situazioni ambientali e dalle risorse disponibili.
Il trattamento riabilitativo:
- deve ripristinare la massima funzionalità articolare possibile,
- deve mantenere un buon tono-trofismo muscolare,
- deve ridurre la sintomatologia algica
- deve prevenire la deformazione articolare.
una volta programmato va adeguato al quadro clinico; deve seguire il paziente per tutta la durata della malattia adattandosi alle diverse fasi. Gli studi scientifici dimostrano il rapido esaurirsi dell’ efficacia di qualsiasi terapia dopo la sua sospensione, per questo occorre la continuità del trattamento che può essere raggiunta con maggiore facilità con una modalità ciclica.
Conclusioni
In conclusione, nonostante i progressi terapeutici nell’ artrite reumatoide restano, per i pazienti, dei bisogni insoddisfatti. Se non si prende in considerazione il punto di vista del paziente e la necessità di migliorare, in toto, la sua qualità di vita si rischia che il soggetto non segua in modo adeguato il trattamento, che deve necessariamente prevedere anche la riabilitazione. Questo porta, non solo, al peggioramento dell’artrite reumatoide, ma anche all’aumento di rischio cardiovascolare.
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